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Rimedi naturali per la prostatite: cose da sapere

Quando ricorrere ai rimedi naturali per la prostatite

La prostata è una ghiandola che è parte integrante del sistema riproduttivo maschile: una delle sue funzioni principali è infatti quella di favorire la produzione e l’emissione del liquido seminale.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere su questo blog, la prostatite è una condizione infiammatoria di questa ghiandola che può coinvolgere anche le aree circostanti: è una situazione piuttosto fastidiosa e dolorosa che può presentarsi con sintomi differenti a seconda delle cause. I sintomi della prostatite, infatti, dipendono dal tipo di origine dell’infiammazione che può essere batteria o non batterica:

  • nella prostatite batterica acuta la ghiandola prostatica si infiamma a causa di un’infezione batterica. In genere si verifica anche un’infiammazione delle vie urinarie inferiori e la diffusione dei batteri può estendersi anche alla circolazione sanguigna. E’ una condizione pericolosa che richiede un pronto intervento al fine di evitare l’insorgenza di complicanze gravi.
  • la prostatite batterica cronica è una forma meno grave, ma si tratta di un’infezione recidiva che oltre alla prostata colpisce anche l’apparato urinario ed è caratterizzata da fastidiosi episodi di cistite.
  • la prostatite abatterica può essere di natura infiammatoria o non infiammatoria.
  • la prostatite infiammatoria asintomatica per definizione non presenta sintomi.

Quando l’origine è batterica, è possibile curarla con trattamenti antibiotici, mentre in altri casi è possibile adottare rimedi naturali per la prostatite sfruttando le proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti di alcune sostanze fisioterapiche che il paziente può assumere anche per diverso tempo, considerato che tali fitoterapici sono pressoché privi di effetti collaterali. L’urologo di fiducia, dopo aver effettuato una accurata visita specialistica, sarà in grado di individuare il trattamento più adatto.

Ecco i rimedi naturali per la prostatite più comuni

In natura esistono delle sostanze che in molti casi riescono a contrastare questo tipo di infiammazione: ecco un breve elenco delle sostanze fisioterapiche più efficaci in tal senso.

  • Serenoa Repens

La Serenoa repens, nota anche come Sabal Serrulata, è una pianta che si trova negli Stati Uniti, nel Sud-Europa e nel Nord-Africa. A livello prostatico svolge un’azione antiandrogena selettiva e antiedemigena senza inibire l’ipofisi e influenzare la produzione di estrogeni e di progesterone. Nello specifico questa pianta svolge un importante meccanismo di azione che consiste nell’inibizione della 5-α-reduttasi, l’enzima responsabile della trasformazione del testosterone in diidrotestosterone: uno studio scientifico ha anche dimostrato che l’impiego di questa pianta ha un’efficacia superiore al placebo nella cura dell’ipertrofia prostatica benigna.

Nei pazienti affetti da prostatite, l’assunzione di Serenoa Repens è utile per migliorare sintomi urinari fastidiosi quali la minzione frequente, il doversi alzare spesso di notte per urinare e la minzione dolorosa. Il dosaggio da assumere varia da caso a caso e deve essere deciso dall’urologo in base alla gravità dei sintomi.

  • Urtica Dioica

L‘Urtica Dioica è una pianta originaria dell’Asia Occidentale, ma reperibile comunemente anche in Italia. Nella fitoterapia moderna si sfrutta la sua radice. I principi attivi di questa pianta sono due: i fitosteroli, che hanno un’azione simile a quella della Sereno repens, e le lectine, che inibiscono il Fattore di Crescita dell’Epidermide (EGF) determinando il miglioramento dei sintomi urinari e anche una parziale riduzione del volume della prostata. L’estratto di radice di Urtica Dioica è quindi utile per rallentare la crescita del tessuto della prostata.

  • Licopene

Il Licopene è un pigmento naturale della classe dei carotenoidi che ha un’azione antiossidante simile a quella del beta-carotene, anche se molto più potente. In base a recenti studi in materia, il Licopene può ridurre il rischio di tumore alla prostata e svolge un ruolo anche nell’abbassamento dei livelli di PSA.

  • Zinco

Lo Zinco, che si trova normalmente in alte concentrazioni nel tessuto prostatico, si riduce in maniera considerevole nelle cellule prostatiche interessate da tumore. In base ad alcuni studi sulla popolazione è stato riconosciuto allo Zinco un effetto protettivo nell’insorgere del tumore alla prostata e tale effetto è legato in proporzione alla quantità di Zinco assunta ogni settimana.

  • Vitamina E

La Vitamina E è il primo fattore antiossidante che si trova nella membrana cellulare. Oltre ad inibire la perossidazione lipidica svolge un’importante azione in sinergia con il Licopene.

  • Tè verde

Il Tè Verde si ottiene dalla foglie della “Camelia sinensis”, una pianta nota per l’azione antiossidante in considerazione dell’elevato contenuto di Polifenoli che sono circa il 20-40% del peso secco. L’Epigallo-catechina gallato (EGCG) è, tra tali sostanze, quella più abbondante e si distingue per le spiccate proprietà antiossidanti ed antimutageniche.

  • Bromelina

La Bromelina è un enzima proteolitico che si estrae dal gambo della pianta dell’ananas. È noto per la sua attività antinfiammatoria e per la sua azione terapeutica sugli edemi sia di natura post-traumatica che flogistica. Svolge anche un’azione antiedemigena e antidolorifica. In base a diversi studi l’assunzione di Bromelina riduce significativamente la durata e l’intensità dei processi infiammatori, degli edemi e del dolore post-chirurgico. Questa sostanza è priva di effetti secondari, può essere assunta giornalmente per periodi prolungati in dosaggi variabili.

Altri rimedi naturali per la prostatite sono:

L’Escina, un estratto naturale della pianta di ippocastano che possiede un’azione vasocostrittrice periferica ed è anche in grado di aumentare la diuresi. L’Escina agisce anche sul microcircolo e riduce il passaggio dei liquidi dai capillari ai tessuti. Tale fitoterapico viene poi convertito nel surrene in una sostanza che svolge un’azione riparatoria degli edemi ed ematomi di origine traumatica e/o allergica.

L’Acido Boswelico che si trova nella Boswelia Serrata svolge un’azione antinfiammatoria e lenitiva.

Il Cranberry, o Mirtillo Americano, possiede una attività antibatterica efficace nelle infezioni del basso tratto urinario come cistiti e prostatiti. Il Cranberry ha la capacità di ridurre l’adesione dei batteri alle cellule della vescica e può anche determinare il distacco di circa il 70% dei microbi che avevano già colonizzato la vescica. Il Cranberry è efficace contro l’Escherichia Coli, l’agente patogeno che più frequentemente causa infezioni delle vie urinarie.

come si manifesta l andropausa

Come si manifesta l’andropausa e come comportarsi

Ecco come si manifesta l’andropausa e come individuarne i sintomi

Con l’avanzare dell’età la produzione di testosterone subisce un calo fisiologico: poiché tale situazione si verifica comunemente in concomitanza con l’invecchiamento, la si definisce “ipogonadismo dell’età avanzata”, ma è più nota con il termine “andropausa”.

L’invecchiamento, tuttavia, non è l’unica condizione che determina un abbassamento del testosterone perché anche condizioni patologiche a livello dell’ipofisi, dell’ipotalamo o dei testicoli possono causare questo cambiamento.

Come si manifesta l’andropausa: i sintomi comuni

Vediamo quindi come si manifesta l’andropausa e quali sono i sintomi più comuni dell’abbassamento del testosterone:

  • alterazioni dello sviluppo muscolo-scheletrico;
  • perdita di massa muscolare;
  • calo della libido;
  • stanchezza fisica (astenia);
  • difetti dello sviluppo dell’apparato genitale;
  • ridotta manifestazione dei caratteri genitali maschili.

Il testosterone è infatti un ormone importantissimo che viene prodotto nei testicoli, che è responsabile dello sviluppo corretto degli organi genitali maschili e da cui dipende la comparsa dei caratteri sessuali maschili (intendendo con questo lo sviluppo della massa ossea e muscolare, la distribuzione del grasso corporeo, dei peli, dei capelli, l’ingrandimento della laringe e delle corde vocali).

La produzione di testosterone aumenta in modo veloce all’inizio della pubertà per poi diminuire rapidamente dopo i 50 anni. A 80 anni si stima che la concentrazione di testosterone sia pari al 20-50% di quella dell’età giovanile.

In base a dati recenti in Italia sono circa 3 milioni gli uomini che manifestano i sintomi dell’andropausa, ma solo il 10% dei casi viene trattato. Fattori di rischio come obesità, ipertensione e diabete raddoppiano le possibilità di entrare in andropausa.

Andropausa: quanto incide l’età

L’età ovviamente incide su come si manifesta l’andropausa e sulla durata del calo di testosterone. Un testosterone basso la cui causa è congenita, per esempio, si manifesta generalmente con organi genitali di piccoli dimensioni, genitali ambigui e testicoli ritenuti (che non discendono nello scroto).

L’andropausa, ovvero il calo di testosterone che si verifica con l’invecchiamento, si manifesta invece con calo della libido, astenia, debolezza muscolare, disfunzione erettile, perdita di capelli, alterazione dell’umore. Possibili complicanze sono una riduzione della densità ossea e la comparsa di osteoporosi.

L’urologo-andrologo di fiducia può interpretare correttamente i sintomi di una possibile andropausa e individuare una terapia adeguata. Un prelievo di sangue è utile per esempio per determinare i livelli ematici di testosterone e capire se la causa della diminuzione risiede nei testicoli oppure se è dovuta ad un caso di ipogonadismo secondario e terziario causato da problemi all’ipofisi e all’ipotalamo.

Il livello di testosterone può essere incrementato con una terapia ormonale, ma in ogni caso la via di somministrazione viene decisa dall’urologo tenendo conto dell’età e di come l’andropausa si sta manifestando nel singolo paziente.

cure infertilità maschile

Esistono cure per l’infertilità maschile?

Cure per l’infertilità maschile: ecco cosa bisogna sapere

Nel 40% dei casi i problemi di fertilità di una coppia dipendono da fattori maschili. Le cause possono essere di diversa natura e spesso emergono solo a seguito di una difficoltà di concepimento prolungata nel tempo. È bene specificare che a differenza delle sterilità, la condizione in cui procreare è impossibile, esistono cure per l’infertilità maschile capaci di risolvere il problema in almeno la metà dei casi. Si tratta di procedure mediche o chirurgiche che rendono quindi necessario l’intervento dell’urologo di fiducia.

I problemi di fertilità negli uomini possono derivare da disturbi ormonali, ostruzioni a livello dell’apparato genitale, traumi o infezioni. Per individuare cure che combattano l’infertilità maschile in modo efficace sarà quindi indicato eseguire una diagnosi tempestiva: in caso di diagnosi tardiva, infatti, alcune cause sono più difficili da trattare. Gli uomini che desiderano dei figli dovrebbero quindi sottoporsi ad una visita andrologica prima di iniziare a pensare ad una gravidanza della partner.

Cure per l’infertilità maschile: i punti fondamentali

Le cause più comuni di infertilità maschile derivano da una diminuzione del testosterone (ipogonadismo) o da alterazioni della produzione o del trasporto dello sperma. Una visita andrologica parte da un’anamnesi del problema al fine di individuare le soluzioni più adeguate al caso specifico. Al paziente vengono poste domande sulle malattie contratte in età infantile, su malattie croniche, su interventi chirurgici subiti, sull’assunzione di stupefacenti o farmaci che possono causare sterilità. La visita è poi utile per valutare la presenza o meno di patologie testicolari come il varicocele, l’assenza di deferenti, un tumore, oppure un deficit dello sviluppo testicolare. Altre informazioni utili per valutare l’infertilità maschile sono:

  • pubertà precoce o ritardata;
  • se si è già concepito in passato;
  • le tempistiche dei rapporti sessuali in rapporto all’ovulazione;
  • malattie sessualmente trasmissibili che possono comportare ostruzioni o cicatrizzazioni;
  • uso di lubrificanti nel corso dei rapporti che possono rendere non attivo lo sperma.

In tal senso, lo spermiogramma, cioè l’analisi del seme, è un esame di laboratorio che aiuta a valutare sia il liquido seminale che gli spermatozoi. Dall’altro lato, l’analisi delle urine, la urinocultura e la spermiocultura possono eventualmente rilevare malattie che compromettono la fertilità, ad esempio patologie renali o il diabete.

Quali sono le cure per l’infertilità maschile più utilizzate

L’andrologo individua le cure per l’infertilità maschile adatte al paziente e può intervenire ad esempio su una eventuale disfunzione erettile, su un varicocele, o diagnosticare un’infezione genitale individuando una terapia adatta.

Prelievo degli spermatozoi

In alcuni casi si può anche eseguire un prelievo degli spermatozoi da usare in seguito per tecniche di riproduzione assistita. Recuperare gli spermatozoi è necessario nell’ipotesi di azoospermia derivata da un’ostruzione dell’apparato genitale o da una assenza dei deferenti congenita. Il metodo più impiegato per recuperare lo sperma è a biopsia testicolare che è al tempo stesso una tecnica diagnostica e terapeutica che si esegue in anestesia locale. Questa prevede il recupero di una quantità piccola di tessuto testicolare, sia per poter investigare le cause alla base della azoospermia che al tempo stesso per raccogliere spermatozoi da impiegare in tecniche di fecondazione assistita.

La biopsia testicolare invece richiede all’incirca mezz’ora e può provocare rigonfiamento e dolore dello scroto.

In alternativa si può procedere al recupero degli spermatozoi aspirandoli dai testicoli o dagli epidimi usando una puntura ad ago sottile. Si tratta di una procedura sicuramente meno invasiva, ma che assicura una percentuale inferiore di successo rispetto alla biopsia testicolare.

Gli spermatozoi prelevati poi, saranno utili per:

  • una fertilizzazione in vitro (FIV), che prevede la formazione in laboratorio di un embrione ed è la metodica più utilizzata in presenza di patologie riproduttive femminili;
  • una iniezione intracitoplasmatica dello sperma (ICSI), a cui si ricorre in assenza di motilità dello sperma nel corso della fertilizzazione in vitro. Lo spermatozoo viene iniettato nella cellula uovo usando un ago molto piccolo e l’embrione formatosi viene poi trasferito nell’utero. Il concepimento avviene del 50-80% dei casi e la gravidanza viene portata a termine nel 30% dei casi.

Terapia farmacologica

Tra le possibili cure dell’infertilità maschile vi è anche la terapia farmacologica: è possibile infatti che vengano prescritti al paziente dei farmaci specifici per migliorare la produzione dello sperma, oppure antibiotici se vi è un’infezione in atto (infezioni dell’apparato genitourinario, malattie sessualmente trasmissibili), o cortisonici se nello sperma si rileva la presenza di anticorpi.

Terapia chirurgica

Si ricorre invece alla terapia chirurgia in caso di trattamento del varicocele o per le ostruzioni del tratto genitale. Una procedura microchirurgica chiamata vasoepididimostomia è utile a correggere le ostruzioni tra deferente e epididimo che possono essere causate da cisti, infezioni o possono avere origine genetica.

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Sintomi della prostatite: quali sono e a chi rivolgersi

Come riconoscere i sintomi della prostatite

La prostatite è un’infiammazione della prostata nonché una patologia molto comune che può interessare gli uomini di tutte le età. In alcuni casi, però, questo disturbo può cronicizzarsi e portare a delle complicazioni ben più gravi. È pertanto di fondamentale importanza riconoscere tempestivamente i sintomi della prostatite allo scopo di curare questa patologia con l’ausilio del proprio urologo di fiducia.

Sintomi della prostatite: diversi a seconda delle cause

I sintomi della prostatite possono essere anche molto fastidiosi e dolorosi ma è bene sapere che esistono diversi fattori alla base dell’infiammazione della prostata che possono essere riconducibili sia a cause batteriche che a cause non batteriche. La patologia può quindi manifestarsi in forme differenti, vediamo di seguito le principali.

Sintomi della prostatite batterica acuta

La prostatite batterica acuta (tipo I), è un’infezione della ghiandola prostatica che viene tipicamente associata ad un’infezione delle vie urinarie inferiori e anche alla diffusione di batteri nel sangue (urosepsi). Si tratta di una patologia uroandrologica rara e anche molto pericolosa. I sintomi della prostatite batterica acuta sono urinari, di tipo ostruttivo o irritativo, o associati a stati febbrili. I pazienti che ne sono affetti possono lamentare:

  • febbre e brividi;
  • nausea;
  • malessere generalizzato;
  • svuotamento incompleto della vescica;
  • getto urinario intermittente;
  • attesa preminzionale;
  • dolori articolari, lombari, muscolari;
  • dolore al pene, ai testicoli, al perineo (zona tra scroto e retto);
  • dolore durante l’eiaculazione;
  • dolore durante la minzione;
  • urgenza minzionale;
  • prostata congesta e dolente alla palpazione.

Sintomi della prostatite batterica cronica

La prostatite batterica cronica (tipo II), invece, è un’infezione recidiva della prostata e dell’apparato urinario. Questo tipo di infezione si sviluppa lentamente, può durare diversi mesi e i sintomi possono apparire e scomparire ciclicamente. I sintomi della prostatite batterica cronica rispetto a quelli della prostatite batterica acuta si manifestano in modo più lieve e sono i seguenti:

  • comparsa di sangue nello sperma;
  • dolore a genitali e perineo;
  • febbre;
  • disuria;
  • dolore lombare;
  • dolore nel basso addome;
  • eiaculazione dolorosa;
  • infezioni ricorrenti dell’apparato urinario.

Sono proprio le infezioni urinarie ricorrenti l’elemento diagnostico distintivo di una prostatite batterica cronica: una percentuale di pazienti affetti da prostatite cronica compresa tra il 25% e il 43% soffre infatti di infezioni recidivanti. La presenza di batteri nelle urine (batteriuria) si riscontra invece nel 4,4% dei pazienti affetti da questa forma di prostatite.

Sintomi della prostatite abatterica

La prostatite abatterica (tipo III), detta anche sindrome del dolore pelvico cronico, presenta gli stessi sintomi in entrambi i suoi sottotipi, ovvero IIIa e IIIb. Il più comune sintomo è il dolore nella zona del perineo e a livello della zona soprapubica, ma può estendersi anche al pene, ai testicoli, alla parte bassa della schiena. Altri sintomi sono:

  • dolore durante e/o dopo l’eiaculazione;
  • urgenza minzionale;
  • attesa prima di urinare;
  • frequenza minzionale;
  • mitto urinario astenico e intermittente.

Questo tipo di prostatite può causare anche una disfunzione erettile con influenze negative sulla sfera sessuale dei pazienti. Si definisce prostatite cronica se i sintomi perdurano per oltre tre mesi.

L’alternarsi di fasi acute della malattia a fasi di remissione oltre a peggiorare la qualità della vita dei pazienti può avere risvolti negativi anche sulla sfera psicoemotiva: alcuni pazienti iniziano a soffrire anche di ansia e depressione.

Sintomi della prostatite infiammatoria asintomatica

I sintomi della prostatite infiammatoria asintomatica (tipo IV), sono per definizione assenti. I pazienti scoprono di essere affetti da questa patologia casualmente, quando si sottopongono ad una valutazione andrologica per altre motivazioni. A confermare l’infiammazione sono i risultati di esami diagnostici come una biopsia prostatica o un’analisi delle urine.

In ogni caso, eseguire una corretta prevenzione è fondamentale per evitare l’insorgenza di problemi alla prostata: si raccomanda pertanto di rivolgersi al proprio urologo di fiducia per una visita di prevenzione.

come si formano i calcoli renali

Come si formano i calcoli renali e come si eliminano

Come si formano i calcoli renali e come si può prevenire la loro formazione

I calcoli renali sono degli aggregati solidi che si formano all’interno dell’apparato urinario: all’inizio sono particelle microscopiche ma con l’avanzare del tempo crescono e diventano simili a pietre. In questo articolo proviamo a spiegare come si formano i calcoli renali e quali sono le forme di prevenzione e di cura del problema.

Come si formano i calcoli renali

I reni sono organi che filtrano il sangue e scaricano le sostanze di scarto dell’urina. I problemi nascono quando queste sostanze non riescono a sciogliersi completamente nell’urina, producendo nel tempo la formazione dei cristalli, cioè dei nuclei iniziali microscopici da cui hanno origine i calcoli renali. Molto spesso i calcoli che si formano nei reni non danno alcun sintomo e non richiedono cure ma è bene comunque conoscerne le cause e i possibili fastidi per la salute.

La patologia medica di riferimento si chiama calcolosi urinaria e si verifica quando i calcoli, migrando verso il condotto che trasporta l’urina dal rene alla vescica, danno origine a una colica renale che causa un forte dolore all’altezza del fianco, fino ad arrivare alla schiena e all’inguine. I calcoli possono creare delle ostruzioni al flusso di urina e provocare di conseguenza un aumento della pressione che fa dilatare il rene causando così lo stiramento e la contrazione dell’uretere (da cui nasce poi la sensazione di dolore).

I calcoli renali normalmente si formano quando sussistono queste condizioni:

  • alto livello di calcio, di ossalato o acido urico nelle urine
  • mancanza di citrato nei reni
  • scarsa idratazione

Questa combinazione di fattori, infatti, fa sì che la scarsa presenza di acqua e di citrato nei reni non permetta il diluire le sostanze immesse dai reni direttamente nelle urine. Quando c’è disidratazione e ci sono alti livelli di sostanze non disciolte, infatti, possono formarsi i cristalli che, accumulandosi nel rene, si trasformano progressivamente in calcoli.

Come si formano i calcoli renali: origine e cause

I calcoli possono essere:

  • di calcio;
  • di acido urico;
  • di struvite (un minerale);
  • di cistina.

La causa più comune della formazione dei calcoli risiede nell’aumento di calcio nell’urina: la maggior parte dei calcoli renali, infatti, contiene proprio il calcio. Questo tipo di calcoli è tipico dei pazienti con disordini ormonali o con problemi al metabolismo in genere.

Le cause che determinano la formazione di calcoli renali possono anche essere ereditarie: l’acidosi tubolare renale è una malattia ereditaria che riduce la concentrazione di citrato e il pH dell’urina determinando  la formazione dei calcoli. I calcoli di cistina, per esempio, si formano a causa di una rara malattia ereditaria (cistinuria) la quale fa sì che si accumulino alti livelli di questo aminoacido nell’urina. Sono i calcoli più difficili da curare e necessitano di trattamenti durante tutto l’arco della vita.

Ci possono essere anche fattori genetici dietro la formazione dei calcoli renali: i calcoli di acido urico, per esempio, sono più comuni negli uomini che nelle donne e rappresentano il 10% dei casi.

Più comuni nelle donne sono invece i calcoli di struvite, detti anche infettivi perchè derivano da un’infezione dell’apparato urinario, come  ad esempio la cistite, che altera l’equilibrio chimico dell’urina.

Come si formano i calcoli: i fattori che incidono

Nella formazione dei calcoli incidono diversi fattori come ad esempio bere abitualmente acqua potabile dura, contenente cioè molti minerali. Altro fattore è la familiarità, ossia la presenza di altri membri della famiglia che soffrono o hanno sofferto di calcolosi.

La calcolosi renale, secondo i dati dell’Istituto Nazionale della Sanità, è più frequente negli adulti di età compresa fra i 30 e i 45 anni, e tale incidenza decresce dopo i 50 anni. Un italiano su 10 ha sviluppato calcoli almeno una volta nella vita e questa patologia è alla base di 7-10 ricoveri ogni mille.

I fattori di rischio sono:

  • bere poco, con conseguente diminuzione del flusso dell’urina;
  • l’aumento nell’urina dei livelli di sostanze come calcio, ossalato, cistina, acido urico, sodio;
  • la diminuzione dei livelli di citrato;
  • un’ostruzione urinaria.

Ci sono poi alcune patologie mediche che possono rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo della calcolosi renale, ad esempio la gotta, la diarrea cronica, il rene a spugna midollare, l’iperparatiroidismo, l’acidosi tubolare renale, o le infezioni dell’apparato urinario.

Una dieta alimentare sbagliata può portare alla formazione dei calcoli?

Nello sviluppo della calcolosi urinaria la dieta gioca un ruolo fondamentale, in particolare nei pazienti predisposti. I rischi aumentano se si segue un regime alimentare ad alto contenuto di sodio, carne, grassi animali, zuccheri e si mangiano poche fibre, verdure e carboidrati: non a caso le persone che consumano grandi quantità di carne possono essere soggette alla formazione ricorrente di calcoli. Anche eccessive dosi di vitamina C aumentano il rischio di calcolosi perché possono aumentare i livelli di ossalato nell’urina (ossalato per esempio, è contenuto in grande quantità nei mirtilli, quindi le persone predisposte alla formazione dei calcoli dovrebbero evitare di mangiarli in grosse quantità!).

Calcoli renali: quali sono i sintomi e le cure possibili

I sintomi di una calcolosi sono:

  • sangue nell’urina;
  • nausea e vomito;
  • necessità di urinare spesso;
  • dolore durante la minzione;
  • dolore la fianco e all’addome;
  • infezione dell’apparato urinario con conseguente febbre e perdita di appetito.

Oltre all’esame fisico vengono effettuati esami di laboratorio per accertare la diagnosi. Utile in questi casi è anche la diagnostica per immagini. In caso di infezione all’apparato urinario è necessario un trattamento antibiotico, mentre negli altri casi il trattamento viene valutato dal medico in base alla dimensione e alla tipologia dei calcoli. Nel 90% dei casi i calcoli sotto ai 4 mm vengono espulsi naturalmente, per quelli più grandi può essere necessario ricorrere ad un intervento.

come curare la prostata ingrossata

Come curare la prostata ingrossata e come prevenirla

Come si presenta e come curare la prostata ingrossata

Si parla di prostata ingrossata quando si verifica un ingrossamento di origine non tumorale della ghiandola prostatica. Il temine medico per definire questa condizione è ipertrofia prostatica benigna (IPB). L’incremento di volume è determinato da un aumento del numero delle cellule di questa ghiandola per cause di natura ormonale e la porzione di prostata che si ingrandisce prende il nome di adenoma. Come curare la prostata ingrossata quindi? Quando la prostata inizia a ingrandirsi si instaura un aumento progressivo di volume di questa ghiandola che può essere interrotto solo se si interviene per tempo con una corretta terapia medica.

Come curare la prostata ingrossata: i sintomi e le cause

La zona in cui si forma l’adenoma è quella al centro della ghiandola, a contatto con l’uretra. In alcuni pazienti si verifica un ingrandimento dei due lobi laterali della prostata, in altri nasce un terzo lobo centrale che viene chiamato “lobo medio”, il quale protrude verso la vescica. Nei casi più avanzati di prostata ingrossata si riscontra sia un aumento dei lobi laterali che la presenza del lobo medio.

I fastidi per il paziente sono evidenti: l’aumento di volume del tessuto prostatico comprimendo sulla vescica causa una difficoltà al deflusso dell’urina. La vescica risponde a tale sofferenza con meccanismi di adattamento che comportano tuttavia alcuni problemi: il muscolo responsabile della contrattilità si ipertrofizza e si contrae in modo anomalo e nei casi più gravi la parete della vescica si sfianca creando dei diverticoli. Purtroppo, alcune di queste complicanze sono irreversibili e non possono essere eliminate nemmeno con un intervento chirurgico: ecco perché è molto importante capire come curare la prostata ingrossata e farlo per tempo.

Soffrono di prostata ingrossata quasi tutti gli uomini che hanno superato i 50 anni di età; ci sono però anche casi di ipertrofia prostatica benigna attorno ai 40 anni. La prostata ingrossata interessa:

  • il 50% degli uomini sopra i 60 anni;
  • il 90% degli uomini sopra i 70 anni.

Le cause non sono ancora state ben definite e le teorie più diffuse concordano su fattori ormonali legati all’invecchiamento. I sintomi possono essere differenti a seconda dello stadio evolutivo di questa patologia: nei casi più gravi si può verificare una cosiddetta ritenzione urinaria acuta, una condizione in cui la completa ostruzione della prostata impedisce di urinare.

Come curare la prostata ingrossata: eseguire prima una corretta diagnosi

Per diagnosticare una ipertrofia prostatica benigna, l’ urologo raccoglie l’ anamnesi, ossia la storia clinica del paziente e valuta i sintomi. Successivamente, tramite una esplorazione digito-rettale (EDR), palpa la prostata attraverso il retto. È importante effettuare anche un esame obiettivo dei genitali esterni, dal momento che vi sono altre patologie come la fimosi o la stenosi dell’uretra che presentano gli stessi sintomi della prostata ingrossata. Di particolare utilità inoltre è il dosaggio  dei livelli di PSA (antigene specifico della prostata) nel sangue. L’aumento di PSA nel sangue indica infatti la presenza di una patologia della prostata. Si può anche eseguire una ecografia transrettale (Eco-TR) per acquisire immagini della prostata e degli organi circostanti. Questa ecografia è utile per valutare il volume della prostata, la forma e il tipo di crescita dell’ adenoma prostatico. L’uroflussometria è invece un esame non invasivo che valuta il flusso di urina durante la minzione.

Come curare la prostata ingrossata

L’urologo decide come curare la prostata ingrossata scegliendo tra diverse terapie possibili in base al caso clinico. Il trattamento deve infatti essere personalizzato in base alla gravità della patologia e può variare dalla semplice osservazione attiva dell’ evoluzione di questa malattia sino alla rimozione chirurgica.

La terapia medica contempla:

  • una semplice osservazione;
  • la prescrizione di farmaci convenzionali o naturali.

I trattamenti chirurgici di tipo endoscopico possono essere:

  • un’incisione transuretrale della prostata (TUIP);
  • una resezione trans-uretrale della prostata (TURP);
  • vaporizzazione laser della prostata (PVP).

C’è infine il trattamento chirurgico a cielo aperto  che prevede l’asportazione dell’adenoma prostatico tramite un’ incisione addominale.

Se i disturbi sono lievi o assenti si può evitare di iniziare un trattamento, limitandosi a monitorare nel tempo l’evoluzione della patologia fissando controlli cadenzati. In presenza invece di una sintomatologia urinaria rilevante è necessario prescrivere un opportuno trattamento.

In ogni caso, eseguire una corretta prevenzione è fondamentale per evitare l’insorgenza dei problemi relativi alla prostata. Si raccomanda pertanto di rivolgersi al proprio urologo di fiducia per una visita di prevenzione.

cause infertilità maschile

Quali sono le cause dell’infertilità maschile?

Da cosa deriva l’infertilità maschile, come si scopre e come si cura

Molto spesso le coppie si accingono a verificare la presenza di eventuali problemi di fertilità solo in seguito ad una difficoltà di concepimento prolungata nel tempo. È stato stimato che nel 40% dei casi il problema dipende dall’uomo ma che almeno la metà di questa percentuale può risolvere il problema con procedure mediche o chirurgiche. Dopo aver riconosciuto le cause dell’infertilità maschile, è possibile accertare la presenza di questo fenomeno con una prima valutazione in seguito a una visita andrologica, corredata da spermiogramma, che sarebbe un’analisi dello sperma.

L’infertilità maschile può derivare da cause differenti come:

  • disturbi ormonali;
  • traumi;
  • ostruzioni a livello di apparato genitale;
  • infezioni

Per risolvere il problema è importante capire il motivo che lo ha generato e per questo è opportuno riconoscere nell’immediato le cause dell’infertilità maschile e rivolgersi a uno specialista, perché una diagnosi tardiva può comportare una risoluzione più lenta, nonché più impegnativa.

Quali sono le cause dell’infertilità maschile

Come mai alcuni uomini soffrono di tale patologia? A livello tecnico, le cause dell’infertilità maschile più comuni sono un’alterazione della produzione o del trasporto del liquido organico (sperma), oppure una diminuzione del testosterone. La sterilità può quindi derivare da una patologia congenita, cioè già presente alla nascita, oppure che si sviluppa in un momento successivo. La sterilità in generale può derivare da:

  • una cura chemioterapica;
  • anomalie oppure ostruzioni dell’apparato genitale;
  • malattie come fibrosi cistica, anemia falciforme o quelle sessualmente trasmissibili;
  • disfunzioni ormonali;
  • infezioni come prostatite, orchite, epididimite;
  • traumi;
  • assunzione di alcuni farmaci;
  • eiaculazione retrograda;
  • malattia sistemica come febbre alta, infezione, malattia del rene;
  • tumore al testicolo;
  • varicocele

La mancanza di testosterone (ipogonadismo) può essere congenita o acquisita, cioè presente sin dalla nascita o insorta in seguito. Una delle cause può essere ad esempio la sindrome di Klinefelter, derivata da un cromosoma X supplementare, ma possono essercene ovviamente anche altre.

La diminuzione del testosterone invece, può derivare da malattie genetiche oppure da:

  • chemioterapia;
  • danno vascolare dell’ipotalamo o all’ipofisi;
  • malformazione ghiandolare;
  • trauma cranico che compromette il funzionamento dell’ipotalamo;
  • infezioni come meningite, sifilide, parotite epidemica;
  • deficit isolato dell’LH;
  • radioterapia;
  • trauma testicolare;
  • tumori ipotalamici o ipofisari.

Ci sono anche altre cause che possono provocare infertilità maschile come l’assunzione di stupefacenti e alcolici, il fumo, una dieta alimentare squilibrata, oppure una vita stressante.

L’infertilità maschile si può curare?

È possibile correggere almeno il 50% delle cause di infertilità maschile. Una visita andrologica infatti può essere utile per valutare la presenza di una disfunzione erettile, di un varicocele, di un’infezione a livello genitale, oltre a capire cos’è la prostatite, la causa più frequente dell’infertilità. In alcuni casi è necessario intervenire a livello chirurgico, in altri casi può invece bastare una terapia farmacologica per migliorare la produzione dello sperma.

Potrebbe semplicemente essere necessario assumere degli antibiotici per eliminare un’infezione in atto. Molte cause di infertilità maschile comunque possono essere trattate in maniera semplice ed efficace: non si deve però mai sottovalutare il problema perché potrebbe celare anche patologie gravi come un tumore al testicolo o all’ipofisi o patologie neurologiche.

cosa e la prostatite

Cos’è la prostatite e come riconoscerla

Scopriamo cos’è la prostatite e quali sono i sintomi da non trascurare 

La prostatite è un’infiammazione della prostata, una patologia molto frequente che può colpire gli uomini di tutte le età, anche se la fascia più a rischio è comunque quella compresa tra i 18 ed i 50 anni. Quindi a differenza di altre malattie che interessano la prostata, come l’ipertrofia prostatica o il tumore alla prostata, la prostatite non può essere considerata una malattia tipica dell’età avanzata.

La prostatite infatti può insorgere in seguito a un’infezione da agenti patogeni (batteri), oppure può essere determinata da comportamenti di vita sbagliati come una dieta alimentare squilibrata, irregolarità intestinale, scarsa idratazione, eccessiva sedentarietà, pratica dei coito interrotto. La natura dell’infiammazione è strettamente legata alla causa che l’ha determinata.

Cos’è la prostatite e quante tipologie di infiammazione esistono

Possiamo elencare quattro diverse categorie di prostatite:

  1. prostatite batterica acuta – è una patologia molto pericolosa, la ghiandola prostatica si infiamma a causa di un’infezione batterica. L’infiammazione della ghiandola prostatica si verifica in genere in concomitanza con un’infezione delle vie urinarie inferiori ed è necessario intervenire subito per evitare l’insorgere di gravi complicanze visto che la diffusione dei batteri può estendersi anche alla circolazione sanguigna;
  2. prostatite batterica cronica – è un’infezione recidiva che colpisce prostata e apparato urinario ed è meno grave della forma acuta. È caratterizzata da episodi di cistite dovuti al persistere dei batteri nella prostata;
  3. prostatite abatterica – (o sindrome del dolore pelvico cronico) è una forma non causata da batteri, può essere di natura infiammatoria o non infiammatoria.
  4. prostatite infiammatoria asintomatica – è caratterizzata dall’ assenza di sintomi.

Cause della prostatite

Come già accennato la prostatite può avere cause batteriche o non batteriche. La prostatite batterica, nella forma acuta o cronica, è la meno frequente e rappresenta solo il 5-10% dei casi. La forma acuta si verifica più frequentemente negli uomini under 35, mentre la forma cronica interessa in particolare la fascia di età compresa tra i 40 e i 70 anni. Una delle sue cause negli anziani può essere la presenza di un catetere vescicale.

Fattori di rischio della prostatite batterica sono:

  • fimosi
  • appartenenza a gruppi sanguigni specifici
  • rapporti anali non protetti
  • infezioni delle vie urinarie
  • epididimite
  • presenza di un catetere vescicale a dimora
  • utilizzo di un condom urinario per incontinenza
  • interventi endoscopici
  • alterazioni dello svuotamento vescicale
  • reflusso di urina nei dotti prostatici
  • fattori autoimmuni

Una prostatite abatterica può avere le seguenti cause:

  • abuso di alcolici; bevande gassate, cibi piccanti;
  • stress, ansia, depressione;
  • contratture della muscolatura del pavimento pelvico;
  • diminuzione della soglia individuale del dolore.

Quali sono i sintomi della prostatite

A seconda delle cause che determinano l’infezione varia il tipo di sintomatologia. I sintomi della prostatite batterica acuta possono presentarsi velocemente e diventare anche gravi:

  • minzione frequente e dolorosa;
  • attesa preminzionale;
  • ridotto flusso di urina o getto urinario intermittente;
  • svuotamento incompleto della vescica;
  • ritenzione urinaria acuta;
  • mal di schiena e stati febbrili;
  • nausea o brividi
  • dolori articolari, lombari, muscolari
  • dolore al pene, ai testicoli, al perineo;
  • eiaculazione dolorosa;
  • prostata dolente alla palpazione.

I sintomi della prostatite batterica cronica sono meno gravi, ma non vanno trascurati e possono essere:

  • dolore a genitali e perineo;
  • sangue nello sperma;
  • dolore a lombi o basso addome;
  • eiaculazione dolorosa;
  • infezioni dell’apparato urinario ricorrenti.

Le infezioni dell’apparato urinario sono il sintomo più frequente della prostatite batterica cronica, gli episodi infiammatori si alternano a periodi di remissione della sintomatologia.

I sintomi della prostatite abatterica sono per lo più il dolore nella zona del perineo, al pene, ai testicoli e nella parte inferiore della schiena. Si avverte fastidio anche durante o dopo l’eiaculazione. Possono verificarsi anche sintomi legati alla sfera urinaria di tipo irritativo o ostruttivo. Questi fastidi possono determinare anche una disfunzione erettile.

La prostatite infiammatoria asintomatica, come da definizione non presenta sintomi, l’infiammazione viene quindi riscontrata incidentalmente quando si eseguono esami come analisi delle urine oppure una biopsia prostatica.

Come curare la prostatite

Per alcune forme di prostatite si possono adottare cure naturali sfruttando le proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti di alcune sostanze fisioterapiche che possono essere assunte anche per diverso tempo poiché sono prive di effetti collaterali. La prostatite batterica nelle forme acuta e cronica va invece trattata con una cura antibiotica. Negli altri casi si deve studiare un trattamento mirato a cui deve necessariamente essere associato uno stile di vita sano ed equilibrato.

Cos’è la prostatite e perché non va sottovalutata

È bene non sottovalutare una prostatite poiché questa infiammazione può verificarsi in concomitanza con patologie ben più gravi come il tumore alla prostata e/o l’ipertrofia prostatica in una percentuale che studi autoptici attestano intorno al 44% dei casi. L’infiammazione può avere conseguenze anche sulla sfera riproduttiva con una diminuzione degli spermatozoi e influire di conseguenza anche nei rapporti personali del paziente.